Massimo Dolfi

Voce - Travestimenti

Massimo è il classico ragioniere, si insomma è uno che ragiona (cioè, a volte voglio dire) con una tipica ragionieristica passione per gli istinti irrazionali e per l’apicultura (le sue api producono un ottimo miele!). Non coltiva solo miele, va anche spesso all’Opera, ma non a vederla, a cantarla, perché è pure capace di gorgheggiare lirica. Tutte cose che, naturalmente, nulla c’azzeccano fra loro ma che descrivono bene il caos della sua filosofia professionale, artistica, di vita.

Nel caleidoscopio delle sue esperienze ci rientrano anche la tentata conquista di tutti gli ottomila, la ricerca del Santo Graal e la liberazione della Patagonia dell’estremo Sud che Garibaldi si era dimenticato di riscattare dai tiranni e ai cui abitanti, prevalentemente pinguini, non potrebbe fregare di meno, né di Garibaldi, ne della lirica, né delle api che peraltro quando pungono fanno anche male, e figuriamoci di Massimo in veste di “libertador”, che sotterrerebbero volentieri sotto quintali di guano perché a loro la lirica proprio non piace. In ragione di tanta inaspettata ostilità, il nostro cantante non ha ancora fatto la pace con i pinguini, e ha problemi di vicinato pure con le arnie liriche e le operaie all’opera. Non che non si dia un sacco d’arie (musicali), è che non sempre gli riescono.

 Neanche le canzonette, se è per quello, motivo per cui è finito alla Banda a Vapore. A dirla tutta, gli riuscirebbero, se solo se le ricordasse, ma (secondo il suo stile di vita) fa sempre un casino tremendo. È capacissimo di metetre Dante nelle canzoni di Caputo e di declamare Nietsche (rigorosamente in lingua originale) durante un pezzo di Celentano. Si distrae un attimo, e avviene il miracolo: Io mi chiamo Pasquale Cafiero sto con Rosalina tutti i giorni in bicicletta e sempre caro mi fu quest’ermo colle quanta strada nei miei sandali dies irae dies illa l’Italia s’è desta.... Questo stravolgimento creativo dei testi non è però un caso, ma un effetto voluto: cacciatore di corrispondenze oblique, esploratore delle relazioni inusitate fra i più distanti contesti, pioniere all’ostinata caccia dei parallelismi superiori fra frasi solo in apparenza estranee ma che (a suo dire) rispondono ad un unico profondo disegno semantico universale, disvelato dai palchi di banda a Vapore grazie alla interpretazione (anzi alla interpolazione) del suo genio, con un effetto inaspettato, sconvolgente, capace di insufflare la fecondità del dubbio nella più granitica certezza: “ma si può sapere cazzo canti?” Per fare capire al pubblico quale sia la canzone, lo obbligano a travestirsi nei panni del personaggio di brano in brano. Fa il leone allo zoo comunale, la bicicletta in Rosalina e la pompa della benzina rincarata nella Topolino amaranto. Ma pur essendo un uomo di pungente ironia (tutta colpa delle api), si è sempre rifiutato di cantare Il Triangolo no. Valli a capire questi ragionieri !