Alberto Rossi

Saxofono - Clarinetto - Ocarina

Clarinettista e saxofonista del gruppo, socio fondatore, nonostante che abbia fatto il conservatorio è dotato di un qualche talento musicale. Ma di scarso senso pratico. Magari sa fare una fuga a tre voci ma non sa fare l’orto e si sa che il brodo non viene bene con un controsoggetto alla dominate, ci vogliono carote e zucchine. Magari è in grado di comporre dodecafonia o di sviluppare un tropo medioevale o al limite anche di suonare il campanello, ma non chiedetegli di cambiare una lampadina, resta al buio, e si fa male, perché non vede una mazza, cerca la candela, inciampa in un cluster, cade, modula in minore, rotola per le scale, cadenza plagale, insomma una volta lo hanno ritrovato la mattina dopo con tre denti di meno, la lampadina fulminata e un tropo infilato nella sequenza del campanello di settima minore.

È lo scriba della band. Scrive di tutto. Canzoni e marcette, graffiti e romanzi, diari e messali, financo cartoline. Vincitore del premio “troglodita dell’anno” nel 2005, è l’ultimo italiano rimasto senza cellulare: non lo sa usare! Non sa bene che siano facebook, hi-pod, bluetooth e tecnologie varie. Nemmeno freno e frizione, se è per quello: guida come un cane. Grazie alle sopracitate e indiscusse competenze comunicative e manageriali, è stato nominato boss organizzativo del gruppo, ma si è scoperto solo da poco che si era trattato di un sabotaggio della concorrenza.

Il suo modo di organizzare, caotico e inconcludente, ha permesso a tutti gli altri componenti del gruppo di sviluppare creatività impensabili, grandi spessori artistici e neanche un quattrino. Otto anni or sono stabilirono di registrare una demo, e lui organizzò le registrazioni. Ad oggi non si sono viste né demo né registrazioni, in compenso furono composti 15 nuovi brani, scritti 3 libri e dipinti 2 affreschi. Tre anni fa organizzò una tournè negli Usa. Non riuscirono nemmeno a prendere l’aereo a Peretola e finirono per suonare in quel di Dicomano a una sagra rostereccia. Insomma, un disastro, ma ci fu una fettunta da favola che te li do io gli hot dog, con grande soddisfazione generale.

Si è sempre chiesto perché suo padre gli abbia lasciato studiare la musica invece che insegnato a zappare, condannandolo ad una genialità disadatta e senza brodi. Ma ormai è tardi. Catapultato per uno scherzo temporale nella nostra era direttamente dall’età del bronzo, quello che sa fare sa fare. Che poi nemmeno è poco. Polistrumentista virtuoso ma distratto, è capace di suonare d’istinto anche un calzino, ma perché l’ha scambiato per un clarinetto. E non si capisce suona il calzino bene come un clarinetto o il clarinetto bene come un calzino. Nella sua carriera ha suonato anche imbuti, ossa di morto, pelli di mucca, pettini e barometri, con la stessa naturalezza del suo strumento d’orchestra: si sostiene che non vi sia poi una grande differenza, stesso suono, clarinetti mucche o imbuti che siano. Una leggenda metropolitana narra che con lo strumento in cantina ci munge il latte fresco e infiasca il vino. Rigorosamente in Si bemolle.